GRAFOMANIA

“La vita è troppo corta per tutte queste e-mail. Mi basta pensare alla mia casella per diventare triste, dal momento che solo in questo mese ho ricevuto oltre 6.000 messaggi (senza considerare spam, notifiche, offerte del giorno ecc.). Naturalmente non ho nessuna voglia di rispondere neppure a una frazione di essi, e non mi resta che immaginare la mia pietra tombale. Qui giace Nick Bilton – recita – costretto a rispondere a migliaia di mail ogni mese. Riposi in pace”. Questo è l’incipit di un articolo-lettera aperta pubblicato da Nick Bilton sul New York Times.
E se lui (che è un giovane giornalista, blogger e autore di libri dal titolo “Io vivo nel futuro”) si sente sotto pressione, cosa dovremmo dire noi “comuni mortali” che già con tanta fatica rincorriamo il presente? Partiamo da qualche numero. Royal Pingdom, società americana che si occupa di monitorare l’utilizzo del web, riporta che nel 2010 sono stati inviati circa 107 “trilioni” di messaggi (parliamo di cifre a 12 zeri). Mandati probabilmente dagli oltre 3 miliardi di account di posta elettronica attivi sul pianeta. Il che significa che un impiegato, non necessariamente ai vertici, riceve in media 105 messaggi al giorno. Difficile pensare che siano tutti importanti. Filtri? Non servono.
Il nostro giornalista che vive nel futuro, ha provato anche lo Zen e quindi ha passato una notte intera a svuotare la sua casella rispondendo ai vari messaggi. Secondo la filosofia Zen, infatti, “se tutto è vuoto su cosa potrà mai cadere la polvere?” … in questo caso su tutto e in pochissimo tempo. Il giorno dopo la mailbox di Nick era già intasata di risposte alle risposte e commenti al seguito. Non serve l’Università della California (che a questo tema ha dedicato una ricerca) per capire che tutto ciò è molto stressante, anche perché per l’e-mail non c’è nessun interruttore da posizionare sull’off. La soluzione? In parte ce la danno i cosiddetti “nativi digitali”. Che usano la mail soltanto quando non hanno bisogno di feedback immediato. Altrimenti vanno su strumenti “sincronici” come la chat, Facebook Messenger o Twitter.
Che non è detto siano meno invasivi, ma sicuramente sono più “sintetici” e soprattutto ci dicono, da subito, se la persona è “connessa” e quindi presumibilmente disponibile a ricevere missive. E se per caso quella persona non è collegata (nonostante ci sia la possibilità di mandare messaggi off line) si attende la sua presenza, visto che il cuore di questi strumenti è la sincronicità, vale a dire se ci sei bene, altrimenti non avrai nessuna “catasta” di parole ad attendere il tuo ritorno. Ma se una persona non sa schiodarsi dalla mail? La si persuade a farlo, rispondendo quanto più possibile tramite Google Chat, Facebook o Twitter. Il modo migliore per entrare in confidenza con questi strumenti infatti è cominciare a usarli. Ma se anche questa opera di “persuasione” dovesse risultare inefficace, si può sempre valutare l’opportunità di non rispondere. Facendo proprio il detto che, spesso,“un bel silenzio vale più di mille parole”. Anche in copia-conoscenza.
