IoT & Wearable device

By Epson Italia Blog

Abbiamo già parlato di Internet degli oggetti e di cosa comporta per le aziende. A questo proposito, oggi intervisteremo uno dei massimi esperti nel settore: Leandro Agrò. Una delle prime volte che sentii parlare di lui fu sul primo numero di Wired Italia. Al tempo il direttore decise di raccontare le storie degli “ItAliens” quelle particolari persone che si sono distinte dalla massa per il loro modo di pensare “out of the box”, direbbero in Silicon Valley, ed è proprio in Silicon Valley che nel 2008 Leandro ha fondato WideTag una realtà che si è distinta in lungimiranza e visione nel settore IoT. Oggi Agrò è Digital Product Director di Design Group Italia e abbiamo fatto due chiacchiere con lui.

1) Leandro, hai pubblicato in Rete alcuni articoli in cui parli di come dovremmo progettare la IoT. Le hai chiamate provocatoriamente “Le tre leggi della IoT per designer e makers”. Puoi dirci di cosa si tratta e perché sono utili?

Sarà il mio bias da designer ma, dal mio punto di vista, la IoT riguarda i comportamenti degli oggetti, la moltiplicazione dei touchpoints, la centralità degli utenti finali.

Qui non si tratta più di “concedere” qualcosa mostrando una buona interfaccia grafica giusto se il prodotto è “Consumer”. Oggi la IoT sta modificando tutti i settori in modo profondo. Sono gli stessi modelli di business e architetture prodotto/servizio a essere influenzati dal “coinvolgimento” del cliente finale.

La tecnologia in sé, oggi, può nascere nel grande R&D center di una corporate come nel garage di un maker. Il punto è che se non ha il giusto approccio, pur funzionando o essendo ben presente a scaffale, potrebbe non avere alcun successo di mercato.

Su come fare una buona interfaccia o su che processo di coinvolgimento degli utenti usare, è già stato scritto moltissimo, mentre a me piaceva l’idea di descrivere gli oggetti come fossero ben più che una somma di features. Io volevo provare a descrivere come gli oggetti connessi avrebbero dovuto comportarsi.

Mi serviva un’idea…


Da ragazzo ero un divoratore dei libri di Asimov e mi ha sempre affascinato la semplicità delle Leggi sulla Robotica da lui inventate. Queste tre eleganti leggi non si occupano di quanto un robot debba essere forte o veloce; o di quante features dovrebbe avere. Per Asimov l’essenza stava nella relazione tra i robot – la massima tecnologia creata dall’uomo – e l’uomo stesso.

Così, in occasione di un TEDx al quale sono stato invitato a parlare, ho scritto le tre Leggi della IoT per designer e Makers. 
Ho pensato che, se un oggetto conosce delle storie, è senziente, ed è connesso nelle stesse Reti sociali usate da noi umani, allora ci sono le condizioni di base perché possa avere una risposta positiva da parte del mercato.

Queste tre Leggi sembrano molto elementari, ma pongono l’approccio di progetto su un piano molto diverso da quello che si vede in genere, dove la visione dell’utente è monca: o le macchine ragionano in ottica puramente M2M, oppure la bill of materials strangola qualunque opportunità di crescita immediatamente futura.

Tanto più che io non penso che la IoT che farà la storia sia quella dei sistemoni ipercentralizzati che gestiscono la complessità stando sopra le nostre teste.
 Non c’è alcun bisogno di tornare ad architetture broadcast, o client/server, o pensare al Grande Fratello in Cloud. Le architetture distribuite, l’emersione del Fog computing, l’abbassamento del costo della intelligenza che possiamo porre anche ai margini della Rete, esalta la necessità di progettare oggetti che sappiano fare ben più che mandare in cloud la propria detection. Questi oggetti devono – appunto – sviluppare dei comportamenti.

Il futuro della Rete – e quindi del mondo che vogliamo – sta proprio in questa differenza di approccio.

2) Sembra che tu faccia riferimento soprattutto ai grandi sistemi, ma quale ritieni che sia il ruolo della IoT Consumer? Braccialetti, termostati, occhiali, orologi… Cosa ti emoziona di più?

La miriade di piccoli oggetti connessi – penso alla moltitudine di Wearables, di oggetti per la casa o per l’auto – che sono emersi in questi ultimi anni rappresentano la cresta dell’onda IoT. Dalla loro adozione da parte di noi umani, dipende il successo dell’intera onda. Perché non c’è posto per una tecnologia IoT sistemica laddove le persone non abbiano esse stesse preso confidenza con gli oggetti connessi.

Come per tutte le tecnologie, anche per la IoT, il vincolo di accettabilità culturale è IL vero muro da superare.

Se guardo ai molti braccialetti che sono dedicati al mondo del fitness, penso che hanno dovuto faticare per trovare il loro spazio di mercato. All’inizio rappresentavano non solo un modo nuovo di fare qualcosa, ma anche una nuova categoria di prodotto…e ad emergere più di altri sono quelli che meglio possono essere descritti tramite le Leggi della IoT. Banalmente, senza una piena capacità di senso (raggiunta spesso in collaborazione con un telefono mobile) e senza una adeguata condivisione nelle Reti sociali umane, l’interesse per questi oggetti si sarebbe spento rapidamente. Adesso, non sto qui a sottolineare quanto il design della motivazione possa essere fondamentale, mi limito a dire che senza la terza legge della IoT, non ci sarebbero neanche i presupposti per una adozione di tale tecnologia.

Gli orologi di ultima generazione hanno già dei vantaggi rispetto ai braccialetti. Gli orologi sono una categoria di oggetti esistente e non è necessario generare dei nuovi canoni d’uso. 
La Apple ha lavorato molto meglio di altri su questo tipo di prodotto, introducendo una ottica Lifestyle, davvero poco usuale nell’high-tech. La verità però è che anche così non è abbastanza. Questi orologi sono ancora TROPPO dipendenti da altri devices, e – sinceramente – troppo poco utili per andare al di là del semplice desiderio di possedere – o peggio ostentare – questa ultima tecnologia.

Ma criticare l’Apple Watch sarebbe del tutto inadeguato. È la prima serie di un prodotto che, come gli iPod e gli iPhone prima, migliorerà generazione dopo generazione. Grazie al denaro investito da Apple, Samsung e le altre grandi, ma soprattutto grazie agli irrinunciabili early adopters, avremo presto orologi che fanno cose inimmaginabili. Magari trasformando la loro attuale dipendenza da un device altro, in una capacità di interconnessione con altri sistemi. La nostra auto, la nostra casa, o – come già sta avvenendo – la nostra stanza di hotel, o il sistema di pagamento dei mezzi pubblici.

Restando in ambito Wearables, la sfida più emozionante io credo sia quella degli occhiali, in tutte le varie sfaccettature possibili. 
Qui – al contrario che per braccialetti o orologi – sono presenti ancora molteplici sfide tecnologiche. Ci sono molte cose che non sappiamo ancora bene come risolvere…Ma c’è anche un fortissimo problema di accettabilità culturale.

Personalmente ho trovato molto molto acerbi i Google Glass di prima generazione. Al di là del non avere neanche tentato di affrontare la questione della realtà aumentata, a me è piaciuto molto poco il fatto di sbattere in faccia alla gente una telecamera. Non siamo ancora pronti per un mondo dove i nostri interlocutori ci riprendono continuamente. Il limite non è tecnologico, ma umano.

Di contro, adorerei avere una maschera da sub, un casco da sci, un occhiale da lavoro, con dentro delle funzionalità e dei layer di informazione che mi lasciano le mani libere per nuotare, sciare, lavorare.

Siamo sulla soglia di una prossima generazione di oggetti che sappiano affrontare più compiutamente queste sfide, e ci serve tutto: serve la capacità di innovazione dei produttori e la sperimentazione sul campo -errori compresi- delle bigCo. Servono gli early adopters e gli sviluppatori di frontiera. Serve lavorare sulla cultura che è necessario porre alla base del mondo connesso che desideriamo costruire.

…e serve davvero meno arroganza da parte di tutti.
 Pensare di poter fare da soli, anche quando si sta seduti dentro potenti aziende, è spesso infruttuoso. Pensare di modificare – senza aver fatto neanche uno straccio di progetto in merito – i comportamenti delle persone, pensare alla tecnologia IoT semplicemente come a un fatto “tecnico”, davvero non ci porterà lontano, aumentando semplicemente il tasso di fallimenti in questa fase di casbah che la IoT sta affrontando.

3) L’ultima cosa IoT a cui stai lavorando? E’ forse un wearable?

Si tratta di un bracciale, ed è un progetto che vale la pena di essere raccontato perché riguarda Unicef. Il progetto di chiama UNICEF KID POWER e ha come focus il motivare i bambini a fare più movimento, mentre misura questa attività fisica e – grazie a degli sponsor – trasforma i “punti” di gioco in speciali alimenti salvavita che vengono distribuiti per salvare dalla malnutrizione severa degli altri bambini.

Design Group Italia collabora strettamente con Unicef e i suoi partner, così ci siamo ritrovati a progettare il brand “Kid Power”: parte di applicazioni mobili e strumenti web, nonché uno specialissimo “stand” per la Star Wars Celebration…immaginatevi anche solo di stare a guardare piccoli Jedi e Sith che – giocando in uno spazio completamente ispirato alla Saga inventata da George Lucas – salvano vite reali a migliaia di chilometri da loro.

Questo progetto non sarà Rocket-science sul piano della tecnologia, ma funziona e – sul piano umano – è una storia complessissima.

Vedi, la IoT sta ridisegnando il business e affrontando problematiche planetarie, e noi – anziché aspettare da una parte criticando o lodando – siamo parte della partita…e quando uno dei sistemi che abbiamo progettato serve a supportare il talento creativo di qualcuno che lavora, ad accendere una nave o salvare una vita, a me piace pensare che ci sia del buono.

Ringraziamo Leandro e DGI per l’intervista.

Gruppo Epson

Epson è leader mondiale nel settore tecnologico e si impegna a cooperare per generare sostenibilità e per contribuire in modo positivo alle comunità facendo leva sulle proprie tecnologie efficienti, compatte e di precisione e sulle tecnologie digitali per mettere in contatto persone, cose e informazioni. L'azienda si concentra sullo sviluppo di soluzioni utili alla società attraverso innovazioni nella stampa a casa e in ufficio, nella stampa commerciale e industriale, nella produzione, nella grafica e nello stile di vita. Entro il 2050 Epson diventerà carbon-negative ed eliminerà l'uso di risorse naturali esauribili quali petrolio e metallo.

Guidato da Seiko Epson Corporation con sede in Giappone, il Gruppo Epson genera un fatturato annuo di circa 1.000 miliardi di Yen (circa 7,5 miliardi di euro).

global.epson.com/

Informazioni sull'articolo

DATA DI PUBBLICAZIONE

Author

Author profile

Epson Italia Blog